Nello scontro tra Renzi e Sindacato, la posta in gioco è il futuro.

Premessa
La crisi che ci morde da diversi anni non si risolverà con facilità. Anzi: quando ne usciremo, e non sarà domani, il nostro tenore di vita non sarà più quello di prima. Saremo più poveri. Qualcuno sarà certo più ricco, ma parliamo di noi, gente comune.
Nessun provvedimento, nemmeno un miracolo, saprà risollevarci nel giro di qualche mese perché il fenomeno nel quale siamo immersi è il trasferimento, progressivo e inesorabile, della ricchezza da occidente a oriente.
Certo, la crisi va affrontata e governata se vogliamo che le sue conseguenze siano meno devastanti. Ce la possiamo fare, ma a patto di un cambiamento culturale che ci coinvolga tutti sino alla fondamenta della nostra società.
Il nostro paese andrebbe rivoltato come un calzino e, invece, tutti ci comportiamo come se la crisi non fosse strutturale, ma di congiuntura. Ne parliamo continuamente, ma ci comportiamo come se non capissimo il significato delle parole che pronunciamo. L’enorme debito pubblico, inoltre, non ci mette a disposizione le risorse economiche che servirebbero per le riforme necessarie. Tutto deve essere fatto per gradi e questo aumenta naturalmente le difficoltà.
Per tassare meno il lavoro in modo efficace e rilanciare la nostra economia servirebbero almeno 40/50 miliardi che non ci sono.
Riformare la Giustizia e la burocrazia è un’impresa da titani.
Riformare la politica (la prima che dovrebbe dare l’esempio) è come pretendere di camminare sulle acque.
La nostra è crisi economica e culturale. Non facile da superare.

Renzi

In questo scenario, chiunque fosse al Governo non riuscirebbe a fare miracoli. Nemmeno Renzi: da lui, superando le sue promesse, ci dovremmo aspettare soltanto dei passi in avanti.
Personalmente sono convinto, come molti, che oggi non ci siano alternative a Renzi. Ha un bel caratterini e ci sta provando, tutti gli altri ci hanno già provato o non ci vogliono provare o è meglio che non ci provino.
Ma il non avere alternative non è un vantaggio, è un limite.
Tra le molte cose che dice o promette (troppo), Renzi vuole anche limitare il ruolo del Sindacato. Lo vuole ascoltare, ma non ci vuole trattare dando, giustamente, al Parlamento il compito e la responsabilità di fare le Leggi
Sbaglia, almeno in parte.
Certo, è il Parlamento che deve approvare le leggi (e magari con qualche fiducia in meno), ma quando i provvedimenti riguardano il mondo del lavoro non si può evitare il confronto con il Sindacato. Puoi non farci un accordo, ma il Sindacato lo devi sentire dedicandogli qualcosa di più della fatidica ora.
Non è un obbligo, ma conviene.

  • In questi mesi di dibattito feroce sul lavoro ho sentito cose inenarrabili. Parlamentari che non sanno di cosa “parlano”. Confondono il salario minimo con il reddito minimo garantito; non sanno di ammortizzatori sociali e di mercato del lavoro; sull’articolo 18 è un dramma. Almeno il sindacato, su questi temi, sa di cosa parla.
  • Renzi ha un largo consenso perché semina speranze in un periodo in cui la politica ha perso la sua credibilità. Il suo però è un consenso molto mediatico. Speranza e media sanno creare molto in fretta ondate di consenso che possono però consumarsi con altrettanta velocità quando le speranze non trovano riscontro nella realtà. Poiché neppure Renzi potrà fare miracoli, mentre le attese suscitate ci assomigliano molto, ben presto la realtà eroderà molto del consenso che Renzi ha incassato come “ultima speranza”. E i primo che lo vorranno morto li troverà in casa propria, da Bersani a Civati, passando per la struttura Cgil che da sempre lo osteggia. Renzi ha bisogno di tradurre in concretezza le speranze che ha suscitato, e ha bisogno di farlo in fretta: troppa per mantenere il tutto il consenso. Allora avrebbe, e avrà, bisogno di un consenso non solo mediatico, ma costruito sulla condivisione nella società e nei corpi intermedi che la rappresentano. Un consenso più solido e strutturato che oggi sta distruggendo.
  • Inoltre, Renzi si deve rendere conto che questa crisi non la potrà risolvere nessun “uomo solo al comando”, ma sapremo uscirne soltanto se tutto il paese (o la gran parte) saprà darsi alcuni obiettivi e tutti (o la gran parte) sapranno remare nella stessa direzione. Il salto è culturale per tutti e nemmeno Renzi può farlo sa solo. Fuori da questa prospettiva anche Renzi passerà nell’attimo di un respiro e il paese sarà destinato a un declino non più governabile. Renzi può essere il motore di un cambiamento importante, ma prima si dovrebbe accendere.

Non vuoi che il sindacato ti faccia perdere in trattative estenuanti e inconcludenti? Non eliminare il confronto: contingentalo, fallo con chi lo vuole fare e poi decidi, ma non cadere nel ridicolo di “un’ora sola ti vorrei”.

Il Sindacato

In questi ultimi anni, non è che le trattative con i vari Governi siano state moltissime. Anzi. L’accordo sulla contrattazione è stato fatto con Confindustria; quello sulla rappresentanza sindacale pure. Quest’ultimo, in verità, a un anno e mezzo di distanza non ha ancora trovato la sua completa applicazione. O gli iscritti sono davvero certificati da Inps e Cnel? Ma se non applichiamo nemmeno quello che ci riguarda, come faremo a pretendere che il Governo si confronti con noi? E con tempi così biblici?
Ricordo, inoltre, che riforme come quella Fornero (pensioni, ma anche quella del lavoro) sono state tradotte in legge senza che il Sindacato si sia posto l’esigenza di essere ascoltato come invece emerge con Renzi. Oggi, tutti si dichiarano contrari a quelle riforme (Cisl compresa), ma allora nessuno fiatò. Alcune volte diamo l’impressione di non avere memoria e idee chiare.

Se il Sindacato vuole il confronto con Renzi (ammesso che si possa avere), qualcosa deve cambiare.
Ci sono due modi per non volere un confronto: il primo è quello di essere sempre contrari a tutto; il secondo è quello di fare delle controproposte inaccettabili e non realistiche. Fiom e Cgil, nei rapporti con Renzi, rappresentano al meglio questi atteggiamenti.
Dire che l’articolo 18 deve essere esteso a tutti i lavoratori è coltivare una pia illusione. Non ci siamo riusciti negli anni 70, in altro contesto economico, figuriamoci oggi. Le fabbriche vanno occupate con il Lavoro non con i Lavoratori rimasti. Così non si cerca il confronto, ma si vuole costringere Renzi a cambiare idea con le ragioni della forza. E non sarà così, non in questi termini.

Ma anche la Cisl deve cambiare.
La vicenda Bonanni sta minando la nostra credibilità nei confronti degli iscritti, dell’opinione pubblica e del Governo. Sul tema annoto che non replichiamo e che, nelle varie interviste, evitiamo di affrontarlo; ma non possiamo scantonare all’infinito: il nostro atteggiamento incrementa la certezza che i fatti siano veri e questo non possiamo sottovalutarlo. Pochi daranno credito, men che meno il Governo, a un’organizzazione che vuole cambiare l’Italia e non cambia nemmeno se stessa. Parli chiaro e forte, la Cisl. Per quanto mi riguarda nessuno di quelli che sapevano e hanno fatto finta di nulla potrà ridare all’organizzazione quella fiducia che merita. I pannicelli caldi, in questo caso, potrebbero non bastare.

Ma sul resto?

Articolo 18
La sola riforma dell’articolo 18 non creerà nessun posto di lavoro perché c’è crisi, ed è la crisi che distrugge lavoro. La necessaria gradualità nelle riforme per il rilancio dell’economia, dovuta alla mancanza di risorse, indirizza le scelte politiche su interventi che hanno costi contenuti o nessun costo. L’articolo 18 è una di queste riforme. Non serve, ora, a creare lavoro, ma non costa, ridà credibilità al nostro paese sui mercati e in Europa, e toglie una delle difficoltà che le aziende hanno verso le assunzioni in situazioni di ciclo economico normale. Se questa è la situazione, dobbiamo fare una scelta.
Sono convinto che tutti i Lavoratori (anche quelli delle aziende sotto i 15 dipendenti) vadano tutelati e difesi rispetto a qualsiasi discriminazione tentata o messa in atto dall’impresa. E ancora di più vanno tutelati quelli più deboli per motivi di genere, razza, colore politico, età e condizione fisica e psichica. Ma vogliamo smetterla di difendere a tutti i costi gli assenteisti che malati non sono? La difficoltà vera che incontrano le aziende quando assumono è quella di prendere provvedimenti nei confronti di questi lavoratori. Non sono tantissimi, ma ci sono e spesso mettono in difficoltà tutti gli altri. Dobbiamo avere il coraggio di trovare una soluzione su questo tema e per quei lavoratori che timbrano il cartellino e poi se ne vanno per gli affari loro. Soprattutto se questo ci consente di allargare alcuni diritti, come gli ammortizzatori sociali, a chi oggi non li ha. Un articolo 18 che sia contro qualsiasi licenziamento discriminatorio (compreso il fatto di licenziare anche chi, lavorando, ti “sta – scusate il francesismo – sulle balle”), che difendesse di più chi ha problemi veri, ma che prevedesse la possibilità di intervenire (fino al licenziamento) contro il “cattivo assenteismo”, potrebbe diventare la base di uno Statuto dei lavori VALIDO PER TUTTI i Lavoratori.

Il blocco degli aumenti salariali per il Lavoratori dello Stato
Da anni il loro salario è bloccato. Vero, ma nessuno può toccare il loro posto di lavoro. E mi chiedo anche: ma nel settore privato, con i rinnovi dei contratti, i salari dei lavoratori sono aumentati? Non credo. Anzi: moltissimi contratti aziendali (che si aggiungono a quello nazionale) sono stati sospesi o eliminati. Molti hanno perso il posto di lavoro. Le retribuzioni nel settore privato non solo non sono aumentate, ma hanno subito tagli importanti. Non è che le disgrazie bisogna condividerle, ma la realtà è che i servizi offerti dallo Stato non sono percepiti, e in molti casi non sono effettivamente efficienti. Colpa della burocrazia? Delle troppe norme? Dei Dirigenti incapaci? Non lo so, ma così non può davvero continuare. Il vero problema, nel Pubblico, è che nessuno è riuscito a legare parte della retribuzione a un vero e proprio miglioramento dei servizi. Dove si è fatto (vedi Genova) l’evidenza del risultato è tutta da registrare. Non faccio di tutta l’erba un fascio: ci sono Lavoratori pubblici che davvero lavorano (una l’ho anche sposata), ma questo deve essere lo stimolo per migliorare la prestazione di tutti gli altri. Quando le risorse non ci sono, la loro effettiva disponibilità deve essere legata a un miglioramento del servizio.

Il lavoro precario
Dire inoltre che si può discutere dell’articolo 18, ma eliminando tutte le forme contrattuali precarie è solo una trovata che formalmente ci salva la coscienza, ma non risolve i problemi.
Anche in una economia in sviluppo (e la nostra non lo è affatto) esistono ed esisteranno sempre contratti atipici. Certo non trenta tipologie diverse, ma due o tre sicuramente. Nell’editoria, ad esempio, esisteranno sempre le partite iva (o simili). Nei tempi andati, quelli buoni, le partite iva erano pagate profumatamente. Erano gli autori, i consulenti aziendali veri… Promettere oggi che saranno eliminate tutte le tipologie contrattuali precarie è dare illusioni. Dobbiamo invece, questo sì, riportare con gradualità (e cioè con l’uscita dalla crisi che sarà graduale) i contratti precari al loro limite fisiologico, perché sappiamo che oggi sono partite iva o Co.Co. Pro. anche quelli che ricoprono mansioni tipiche del lavoro dipendente. Dobbiamo invece, questo sì, aiutare chi cerca lavoro (giovani e anziani) a trovarlo, reinventandoci completamente il nostro sistema di collocamento che oggi è una vergogna. Questa, con istruzione e formazione, è oggi la vera tutela. Ai nostri figli non dobbiamo vendere illusioni, ma dare speranze concrete di un futuro migliore di quello che oggi hanno di fronte. Ma siamo sicuri di essere pronti, noi più anziani? Per mantenere le nostre pensioni abbiamo penalizzato le loro. Per mantenere la nostra occupazione e il nostro salario abbiamo penalizzato la loro occupazione e i loro salari. Per mantenere il nostro passato abbiamo penalizzato il loro futuro. Riflettiamoci e diamoci una mossa. Noi dobbiamo cambiare anche a costo di lasciarci qualcosa.

Fermiamo questo declino economico e culturale. Senza farci illusioni. Tutti insieme e tutti facendo la propria parte.
Se nessuno sarà disposto a cambiare, sarà un altro fallimento. E non sarà solo colpa di Renzi.
Mi auguro solo che possa non essere l’ultimo.

Ps: puoi non essere d’accordo, ma queste sono le mie idee. Convincimi con le tue.
So che è facile parlare quando non si è direttamente coinvolti, ma non ero molto diverso nemmeno da dentro