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Dopo la strage al settimanale satirico francese Charlie Hebdo, si è aperto in tutto l’Occidente, Italia compresa, un dibattito su come affrontare il tema del terrorismo di al Quaeda e dell’Isis. C’è chi vorrebbe cacciare tutti le persone islamiche dall’Europa, chi vorrebbe fermare l’immigrazione dai paesi di religione islamica, chi vorrebbe bombardare l’Isis, chi, invece, vorrebbe ancora cercare un dialogo con il mondo islamico.
Non voglio affrontare i molteplici aspetti legati al terrorismo di matrice islamica, alla nuova situazione che si è determinata dopo l’auto-creazione dello stato islamico e al cambio di strategia del terrorismo.
Dopo la strage di Parigi mi sono chiesto invece se fosse possibile dialogare con il mondo Islamico e se davvero possa esistere un Islam moderato; se ci siano, cioè, le condizioni oggettive per dialogare con il mondo islamico oppure no.
Mi sono allora riletto un piccolo saggio scritto da Carlo Panella intitolato “Non è lo stesso Dio, non è lo stesso Uomo – Bibbia e Corano a confronto”, edito da Cantagalli nel 2009, prima che il terrorismo islamico assumesse le dimensioni e le caratteristiche attuali. Ovviamente vi invito a leggerlo, così come altri saggi, sempre scritti da Panella, sullo stesso tema.

Ecco cosa sostiene Panella da profondo conoscitore del mondo islamico.

Nessun Libro unisce ebrei, cristiani e musulmani
Molti parlano di “Popoli del libro”. Frase bella, evocativa. Parole cariche di spirito ecumenico, di buona volontà, di dialogo tra fedi. Sono parole di Maometto, riportate dal Corano, e stanno ad indicare ebrei, cristiani e musulmani uniti, appunto, dallo stesso Libro.
Il problema, non piccolo, è che non è così.
Nessun Libro unisce ebrei, cristiani e musulmani, per la semplice ragione che Maometto, nel suo Corano, accusa a più riprese, a volte veementemente, ebrei e cristiani di avere falsificato la Bibbia, per non parlare del Vangelo. Maometto sostiene che siamo gente non del nostro, ma del suo Libro, il Corano, in cui afferma, peraltro, che Abramo non era «né ebreo né cristiano»; Maometto sostiene inoltre che mente chi dice che Gesù Cristo è morto in croce, per citare solo due dei passaggi cruciali che impediscono di credere alla finzione che le tre religioni abbiano lo stesso Libro. Sono due libri differenti: una è la Bibbia di ebrei e cristiani, l’altro è il Corano dei musulmani, senza rapporti reciproci, se non formali.

Due concezioni di Dio
Sono anche due concezioni radicalmente differenti di Dio, come una ricca pubblicistica cristiana ha evidenziato. Là dove vi è piena continuità tra il Dio ebraico e quello cristiano, il Dio islamico è altro, a iniziare dal momento della creazione, perché non crea Adamo «a sua immagine e somiglianza». Nessuna scala di valori, naturalmente. Nessuna pretesa di superiorità della Bibbia rispetto al Corano. Solo la constatazione che nulla o poco hanno a che fare l’una con l’altro, se non i nomi identici dati dal secondo a personaggi ed episodi della Bibbia, radicalmente trasfigurati, sino ad assumere volutamente tutt’altro significato. Nessuna pretesa, tantomeno, di superiorità del Dio giudaico- cristiano rispetto a quello islamico. Solo la constatazione che l’uno stringe un patto di Alleanza con l’uomo, e lo reitera, mentre l’altro tutto fa, tranne che stringere un’Alleanza e chiede, appunto, Islam, sottomissione.

Due concezioni dell’Uomo
Se si prendono in esame, appunto, i brani della Bibbia e la loro trasposizione nel Corano, si nota ben altro, oltre alla loro radicale, totale differenza. Si nota, addirittura a colpo d’occhio, che l’uomo del Corano – non solo il Dio – nulla ha a che fare con quello della Bibbia. L’uomo del Corano è a due dimensioni, ha l’anima, ma non la psyché, non sa cosa sia quella componente dell’anima che Platone definisce thymòs, quella pulsione irascibile che si appassiona per ciò che la parte razionale dell’anima ritiene vero e giusto, non sa cosa sia il Mito, cosa la pulsione verso Eros e verso Thanatos , non è passato attraverso il rito dionisiaco. È tutt’altro uomo.
L’uomo islamico non ha la totalità di dimensioni del giudaiusmo e del cristianesimo che gli deriva dalla sua filiazione divina, e non è persona proprio perché non può stringere alcun patto con Dio, non ha libera scelta, ma può solo sottomettersi.

Bibbia e Corano a confronto
Abbiamo preso in esame, e li riportiamo sinotticamente, alcuni tra i principali brani della Bibbia in cui spicca prepotentemente il tema della pulsione di morte e della tormentata scelta tra il bene e il male, a partire dalla creazione di Adamo, passando per Caino e il sacrificio di Isacco. A fianco, abbiamo riportato la versione degli stessi passaggi del Corano. Leggerli, confrontarli tra i due libri dà peso alla ipotesi che regge questa ricerca: la totale, assoluta mancanza di elaborazione del tema della “pulsione di morte”, legata alla elaborazione del Mito, così presente nella Bibbia, fa oggi la differenza, quella più radicale, tra la civiltà erede del giudeo- cristianesimo e quella islamica. Un’ipotesi rafforzata dalla constatazione che negli ultimi decenni l’Islam ha dato vita a due scismi, quello wahabita- salafita di al Qaeda e quello khomeinista, che teorizzano e praticano una vera e propria “Teologia della morte”. Ci stimola l’idea che questi due scismi islamici incentrati sul dovere del martirio – e ribadiamo il termine “scismi” – abbiano molto a che fare con questa mancanza di elaborazione del Mito e della pulsione di morte nel Corano. Avanziamo la tesi che i tanti riferimenti giustamente elegiastici alle vette della civiltà islamica, non hanno senso se riferiti alla modernità. Perché la civiltà islamica si è autodistrutta dal suo interno. Perché non furono i Crociati, o i Mongoli, o i Turchi, a distruggere l’umanesimo islamico, ma il più ortodosso dogmatismo musulmano, il quale annientò un umanesimo musulmano che aveva imparato a frequentare il Mito ed Eros e Thanathos solo nel momento in cui si è ibridato con i popoli di tradizione ellenistico- ebraico- cristiana. Avanziamo la tesi che la grande civiltà islamica medioevale sia stata solo un’ampia parentesi che lo stesso pensiero islamico ha chiuso, sacrificandola al dogma del Corano Increato, fine di ogni ipotesi di Mito, di interpretazione di ermeneutica, addirittura di gioia nel trattare il Verbo. Vediamo nella proibizione della stampa del libro, che ha privato il mondo musulmano della circolazione di idee per oltre 350 anni a partire dal 1500, il dato materiale, il simbolo, il monumento negativo di questo percorso a ritroso. Lo strumento di distruzione di un umanesimo musulmano appreso da altre civiltà e con rapidità ripudiato, in nome del dogma. In nome di una religione in cui la Norma, la Legge, ha presto sopravanzato, egemonizzato la Rivelazione. Ricordiamo che Averroè nulla contò nella civiltà islamica e che questo fu il simbolo della fine della gioia di un pensiero che si nutriva del rapporto tra fede e ragione. Di nuovo, disinteresse per il travaglio sulla Rivelazione, violenza nell’imporre la Norma. Vediamo, infine, nell’uomo musulmano di oggi che si fa kamikaze e uccide donne e bambini e innocenti, e massacra ebrei come cristiani e musulmani – testimoniando così la sua fede – un lettore formale del Corano, come egli stesso rivendica di essere. Leggiamo in questi due scismi islamici, in questa teologia della morte, una rottura frontale, drammatica col pensiero musulmano. Avanziamo l’ipotesi che questo cammino di morte, che questo dirsi islamici per distruggere l’Islam, abbia comunque a che fare con l’uomo delineato nel Corano. Perché la sua fragilità, i suoi limiti, la sua mancanza di spessore, il suo non tormentarsi sul tema della morte, non lo rendono immune dalla penetrazione di uno scisma che fa dell’esaltazione della morte il proprio messaggio.

Ultima considerazione, ma non riportata nel libro. Alla fine del 1700 un’ulteriore scisma si è prodotto nel mondo islamico prodotto da chi sosteneva, e sostiene, la necessità di “esportare la Sharia anche al di fuori del mondo islamico e, quindi, anche nel mondo occidentale.
Leggendo il libro emerge quindi come il dialogo con il mondo islamico sia davvero difficile. Nemmeno la frase attribuita al Corano “Se uccidi un altro uomo è come se uccidessi tutta l’umanità” è completamente vera, perché dal suo contesto è stato tolto l’inciso che detta una condizione: “senza che questi abbia ucciso un’altra persona o portato la corruzione sulla terra”. Parole che danno al testo un significato completamente diverso, tant’è che l’accusa rivolta alle vittime dell’islamismo è quella di essere corruttori e tanto basta per giustificare la loro eliminazione.
Ma il mondo islamico, e lo dice anche Panella, è diversificato al suo interno. Non è un caso che le interpretazioni più radicali del Corano nascano da scismi interni al mondo islamico stesso. Ma allora, il dialogo con questo mondo è possibile oppure no?

L’idea che personalmente ritengo più vicina alla realtà è questa.

  • 1. Con il mondo islamico più radicale, quello dell’Isis o di al Quaeda per intenderci, il dialogo non è possibile anche se noi lo volessimo. Quella è una parte dell’islam che non vuole dialogare né con noi, né con i musulmani più “moderato”. Per quel mondo, che vuole imporre la Sharia in tutto il modo (islam compreso), l’unica possibilità è quella della “sottomissione” completa ad una interpretazione del Corano che non ammette repliche, contrapposta al mondo occidentale e lontana anche dall’ortodossia musulmana più moderata. Ovvio che questa considerazione comporti una serie di possibili conseguenze, sul piano politico, sulle quali ci saranno altre occasioni di approfondimento.
  • 2. E’ possibile, invece, e doveroso, direi, il dialogo con la parte più moderata dell’islam. E’ un islam che esiste nel mondo occidentale e dentro gli stessi musulmani. Non so, onestamente, se sia la maggioranza oppure no. Constato che questo è un mondo spesso silenzioso o che noi tendiamo a non sentire, ma il dialogo e il confronto sono fondamentali per dare voce a un islam che ancora si nutra del rapporto tra fede e ragione. L’unico modo perché si affermi sostituendo e svuotando progressivamente l’islam che produce terrorismo.

Prima prendiamo atto di questa situazione, prima usciremo dalla dicotomia che vede il mondo occidentale, e in particolare l’Europa, presa da reazioni che vanno dallo scegliere il dialogo a tutti i costi, anche con chi non è oggettivamente possibile, fino al rifiuto di tutto il mondo islamico, anche quello con cui bisogna, invece, dialogare.

Luigi