Il passato che non passa. Perché Sunniti e Sciiti litigano? La tensione fra Iran e Arabia Saudita è l’ultima espressione di un conflitto secolare, che negli ultimi decenni è stato aggravato dall’instabilità politica del Medio Oriente (che poi in realtà i musulmani sono divisi in ben 14 sotto correnti).

Perché sciiti e sunniti litigano (il post)

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Negli ultimi giorni nuove tensioni fra Iran e Arabia Saudita, causate dall’uccisione di un importante leader religioso islamico sciita da parte dell’Arabia Saudita, hanno fatto riparlare delle profonde divisioni religiose presenti nei paesi del Medio Oriente. L’Islam, la religione praticata dalla stragrande maggioranza degli abitanti della zona, si divide infatti in due principali rami dottrinali: quello dei sunniti e quello degli sciiti.

È una divisione piuttosto profonda e che esiste da secoli: negli ultimi decenni però si è intrecciata con le vicende politiche locali, diventando sempre più rilevante per decidere e comprendere guerre, alleanze e interessi.
Qualche esempio: la Siria, un paese a maggioranza sunnita, fino a pochi anni fa era governata dalla famiglia Assad e da un giro di potenti funzionari, tutti sciiti. Dal 1979 al 2003 l’Iraq – la cui popolazione è a maggioranza sciita – è stato dominato da Saddam Hussein, legatissimo a potentati locali sunniti. Ora Siria e Iraq sono i due paesi del Medio Oriente in cui la situazione è più grave e ingarbugliata: in Siria dal 2011 si combatte una guerra civile che finora ha causato più di 200mila morti, mentre l’Iraq ha un governo debolissimo che ha enormi difficoltà a contrastare l’ISIS (o Stato Islamico), il gruppo terroristico islamista più potente da due anni a questa parte – e sunnita.
Nel caso di questi giorni, i tumulti sono stati causati dal fatto che l’Arabia Saudita – il più stabile e ricco paese del Medio Oriente, a maggioranza sunnita – ha condannato a morte e ucciso Nimr al Nimr, un popolare leader islamico locale che però apparteneva alla minoranza sciita: che invece è maggioritaria in Iran, un altro degli stati più ricchi e stabili del Medio Oriente. Ma facciamo un passo indietro.

Un po’ di storia

Le divisioni tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del fondatore dell’Islam, il profeta Maometto, nel 632 d.C.: alcuni fedeli di Maometto pensavano che l’eredità religiosa e politica di dovesse andare ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto. I fedeli in questione erano gli antenati dei moderni “sunniti”, che sono anche il ramo maggioritario dell’Islam moderno: è stato stimato che fra l’85 e il 90 per cento dei musulmani nel mondo – circa 1,5 miliardi di persone – siano sunniti.

Sin dalla morte di Maometto però esisteva una minoranza, che oggi chiamiamo “sciita”,che credeva che il successore dovesse essere un consanguineo del profeta: questo gruppo diceva che Maometto aveva consacrato come suo successore Ali, suo cugino e genero.

Anche se Ali governò per un periodo come quarto “califfo” del regno arabo, il titolo attribuito ai successori di Maometto, presto prevalsero i sunniti. La divisione tra i due rami dell’Islam divenne ancora più forte nel 680 d.C., quando il figlio di Ali fu ucciso a Karbala, città del moderno Iraq, dai soldati del governo del califfo sunnita. Da quel momento i governanti sunniti continuarono a monopolizzare il potere politico, mentre gli sciiti facevano riferimento ai loro imam, i principali capi religiosi, i primi 12 dei quali erano discendenti diretti di Ali.

Con il passare degli anni le differenze tra i due gruppi sono aumentate e oggi ci sono alcune cose condivise e altre dibattute. Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia l’unico dio, che Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri rituali dell’Islam, tra cui il Ramadan, il mese di digiuno, e il Corano, il libro sacro. Mentre però i sunniti si basano molto sulla pratica del profeta e sui suoi insegnamenti (la “sunna”), gli sciiti vedono le figure religiose degli ayatollah come manifestazioni di dio sulla terra, e credono che il dodicesimo e ultimo imam discendente da Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per compiere la volontà divina.

Questa differenza ha portato i sunniti ad accusare gli sciiti di eresia, e gli sciiti ad accusare i sunniti di avere dato vita a sette estreme intransigenti. Oggi, semplificando molto, i paesi a maggioranza sciita sono solamente Iran, Iraq e Bahrein, mentre il resto dei paesi prevalentemente islamici è a netta maggioranza sunnita. Tuttavia prima di questi anni le due sette dell’Islam non hanno mai dato vita a una guerra delle dimensioni paragonabili per esempio alla Guerra dei trent’anni, che tra il 1618 e il 1648 mise le diverse sette cristiane una contro l’altra in Europa.

(La distribuzione dei sunniti nei paesi del Medio Oriente, in una cartina di BBC del 2013)
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Oggi

Secondo diversi esperti di Medio Oriente, l’ingarbugliata e violenta situazione degli ultimi anni ha avuto origine in seguito alla rivoluzione iraniana che nel 1979 ha rovesciato il re locale – lo Scià, alleato fedele degli Stati Uniti – per instaurare una teocrazia islamica sciita, in forte contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Nel 1980, cercando di approfittare della debolezza del neonato regime e sperando di ottenere l’egemonia nella zona, l’Iraq di Saddam Hussein invase l’Iran, dando origine a una guerra molto sanguinosa che durò fino al 1988.
In quegli anni si consolidarono due “blocchi”: i paesi sunniti guidati dall’Arabia Saudita rafforzarono la propria inimicizia contro la cosiddetta “mezzaluna sciita”, cioè i paesi che in un modo o nell’altro erano sotto l’influenza sciita. Molte guerre, alleanze e conflitti estemporanei degli anni successivi sono riconducibili alla formazione di questi blocchi.
L’Iran è un alleato storico della Siria, unico paese guidato da sciiti nel Medio Oriente mediterraneo. L’Iran e la Siria a loro volta sono sostenitori – anche concreti – del movimento libanese sciita Hezbollah, il cui ramo militare opera nel sud del Libano e ha come obiettivo la distruzione di Israele.
Iran, Siria ed Hezbollah formano la cosiddetta “mezzaluna sciita”. Nella guerra in Siria sono intervenuti a fianco del presidente siriano Bashar al Assad sia Hezbollah, nelle zone montagnose al confine con il Libano, sia l’Iran, mandando uomini e armi (e ultimamente anche la Russia, storico alleato politico della Siria: ma questa è un’altra storia). Questa alleanza si contrappone a quella formata da Egitto e Arabia Saudita (e Stati Uniti): i primi due sono i paesi più importanti della zona a maggioranza sunnita e fino a pochi anni fa anche i più stabili.
Poi c’è la questione del terrorismo: Hezbollah è una milizia sciita ma negli ultimi anni i due gruppi più potenti – al Qaida e l’ISIS, che fra l’altro si combattono fra loro – sono composti da sunniti radicali.

Innestata in problemi locali interni, la presenza di questi gruppi terroristici rende ancora più complicata la situazione: il governo sciita di Assad è combattuto sia da ribelli “moderati” sia da milizie sunnite fra cui il Fronte al Nusra, il gruppo che rappresenta al Qaida in Siria. Persino l’ISIS, anche se in misura minore, combatte per far cadere il regime di Assad: indebolire il suo regime, di conseguenza, ancora oggi significa rischiare una maggiore penetrazione dell’ISIS e di gruppi sunniti in Siria. Non tutte le ostilità del Medio Oriente – riassunte efficacemente in questo schema con le faccine – si spiegano con questi blocchi: Hamas, il gruppo terroristico più diffuso in Palestina, è un movimento sunnita ma da anni riceve aiuti dall’Iran, che è il principale nemico di Israele per diversi motivi politici e religiosi.
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Come hanno spiegato diversi esperti di Medio Oriente, non è mai facile capire dove finisce il conflitto religioso e dove inizia quello politico, e negli ultimi anni i due si sono intrecciati e rintuzzati a vicenda. A prima vista, inoltre, entrambi i rami dell’Islam hanno dato origine a regimi ispirati dalla religione molto severi come quelli di Iran e Arabia Saudita, che pure si odiano e accusano a vicenda.

Le divisioni fra sciiti e sunniti, inoltre, non sono radicate solamente ad alto livello: dato che negli anni sono state associate a decisioni di politica e sicurezza nazionale, sono ormai entrate nella vita di tutti i giorni di quei paesi. Il Wall Street Journal sottolinea tristemente che «le persone che hanno più di quarant’anni e abitano in Arabia Saudita o Pakistan ricordano ancora quando non sapevano – e non gli importava nemmeno – se i loro colleghi o vicini fossero sunniti o sciiti». Seyed Ali Fadlullah, un importante funzionario sciita libanese, ha però fatto notare che è come se queste divisioni siano sempre esistite “in potenza”: «Le differenze di dottrina vengono utilizzate perché hanno un impatto molto efficace: se inviti la tua gente a combattere per ottenere un predominio regionale o internazionale, non verrà nessuno. Ma le persone agiscono quando viene detto loro che la propria setta religiosa è sotto attacco, o che i propri luoghi sacri stanno per essere distrutti».

I musulmani sono divisi in 14 correnti

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La conoscenza della geografia del mondo musulmano pare sia un’esclusiva di pochi esperti. E’ complicatissima, nebulosa e difficilmente definibile. Questo grafico, invece, spiega bene le 14 correnti religiose nelle quali si dividono i fedeli musulmani. Ogni correnti ha propri riti, proprie credenze e anche propri “fondamentalismi” che spesso portano a conflitti intestini all’interno proprio del mondo musulmano. E si tratta di conflitti sanguinosissimi: il terrorismo dell’Isis, infatti, non ha come obiettivo solo gli occidentali “infedeli”, ma anche i musulmani appartenenti a correnti che si ritiene si siano allontanate dal “vero” Islam. La pericolosità della situazione è moltiplicata dal fatto che i musulmani in tutto il mondo sono, secondo un censimento che risale al 2009, circa 1 miliardo e 471 milioni. Di questo la maggior parte, 972,5 milioni, vivono in Asia, Iran e Turchia compresi mentre in Europa si sono stabiliti 38,1 milioni di persone pari al 2,4% del totale.
I dati si riferiscono al: 2015 – Fonte: Unione Europea

Tra sunniti e sciiti c’è di mezzo anche il petrolio

Nello scontro tra Iran e Arabia Saudita le risorse energetiche rischiano di aggravare il confronto settario.

L’Iran ha accusato l’Arabia Saudita di aver bombardato la sua ambasciata a Sana’a, in Yemen, di averla danneggiata e di aver ferito alcuni membri del personale. Nel paese è in corso già da un anno un confronto militare tra le due potenze regionali, in cui Teheran sostiene la minoranza sciita degli Houthi e l’Arabia Saudita appoggia l’ex presidente sunnita Ali Abdullah Saleh. Sebbene alcuni testimoni abbiano negato che l’ambasciata sia stata colpita, quella di oggi è l’ulteriore dimostrazione che il confronto tra Riad e Teheran va ben oltre le provocazioni.
L’esecuzione del leader sciita Nimr al Nimr di qualche giorno fa ha portato in pochi giorni alla rottura delle relazioni diplomatiche fra l’Iran e i paesi sunniti della regione. Soprattutto, la provocazione di Riad ha acceso la rabbia popolare: migliaia di sciiti hanno protestato in piazza a Teheran e Baghdad e hanno dato fuoco alle foto del re saudita Salman cantando slogan contro la famiglia reale sunnita.
Da Riad, la dinastia regnante ha provato a minimizzare il rischio di uno scontro diretto tra Iran e Arabia Saudita. Il principe Mohammed bin Salman, ministro della Difesa saudita e nuova stella della corte di re Salman, ha spiegato all’Economist con toni molto diplomatici che il suo paese “sta facendo di tutto per evitare la guerra” e che l’esecuzione di Nimr non ha niente a che fare con l’Iran.

Toby Craig Jones ha spiegato sul New York Times che Riad ha deciso di giocarsi la carta dell’odio settario perché messa sotto pressione dalla particolare congiuntura politica ed economica.

I prezzi del petrolio precipitano, le relazioni con gli Stati Uniti sono ai minimi termini, la guerra in Yemen non sta portando i risultati sperati. La famiglia reale, insomma, si è indebolita e con l’esecuzione di Nimr ha deciso di mandare un segnale chiaro: nonostante le difficoltà, il paese è unito e non tollera alcuna forma di dissenso interno. Il riferimento è alla minoranza sciita che rappresenta tra il 10 e il 15 per cento della popolazione saudita e che si concentra in un territorio sul lato orientale del regno. Il distretto di Qatif ha una particolarità: contiene quasi tutti i principali giacimenti di gas e petrolio del regno. Come spesso capita in medio oriente, le linee etniche e religiose e quelle dei giacimenti degli idrocarburi combaciano difficilmente, aggravando il confronto tra minoranze e maggioranze.

L’Arabia Saudita non fa eccezione e, dice Craig Jones, per sopire ogni forma di opposizione al potere centrale Riad ha deciso di usare la mano pesante contro gli sciiti. Nimr al Nimr (originario di Awamiyya, al centro della regione più ricca di petrolio del paese) aveva guidato le rivolte del 2011 denunciando i soprusi della casa reale verso la minoranza sciita, predicando il sollevamento del popolo dai regimi dittatoriali. Cosa ancora più preoccupante, Nimr era favorevole alla secessione della regione sciita. Sin dal secolo scorso, Riad aveva adottato una politica bilanciata nei confronti delle minoranze, senza arrivare allo scontro aperto. Ma a partire dalle rivolte sciite in Bahrain del 2011 contro la monarchia sunnita, e fino alla guerra in Yemen del 2015, la casa regnante ha cambiato strategia. Ha impostato il confronto con qualsiasi forma di dissenso su basi settarie, ha demonizzato la minoranza sciita e ha compattato attorno a sé il blocco di paesi sunniti alleati.

Jon Schwarz ha pubblicato sul sito Intercept una mappa geografica dettagliata per spiegare la relazione pericolosa che esiste in Arabia Saudita tra petrolio e dissenso religioso. L’odio settario, puntualizza Schwarz, esiste da molto tempo prima che il petrolio fosse scoperto, ed è da sempre ben radicato tra sunniti e sciiti. Oggi però, le risorse energetiche possono accelerare o aggravare il confronto confessionale. Il fatto che una minoranza religiosa detenga la quasi totalità del petrolio che mantiene in piedi l’economia della maggioranza, soprattutto in una fase critica come quella che vive oggi la dinastia Salman, rischia di rendere ancora più instabile il confronto.