LA CHIESA DELL’ANNUNCIATA

La chiesa dell’Annunciata

Le cronache storiche del nostro borgo ci riferiscono che la chiesetta campestre fu edificata nell’anno 1610 dal nobile Cavaliere Antonio Rivola, allorché egli decise di far demolire l’antica chiesetta altomedioevale dei S.S. Gervasio e Protasio.
La notizia è sostanzialmente confermata in una memoria seicentesca, nella quale si dice che la chiesa fu fondata «Circa anno Domini 1610 pietate, et expensis Nobili Domini Equitis Federici de Rivola», circa nell’anno del Signore 1610 per la pietà ed a spese del Nobile Signor Cavaliere Federico de Rivola.
Cambia solo il nome del benefattore; è comunque più probabilmente esatta la notizia che assegna l’opera a Federico, in quanto è notizia assai prossima all’evento, e quindi più credibile.
Alcuni decenni più tardi, il 21 Febbraio 1647, P. Francesco Antonio Assolari, Priore del Convento dei Carmelitani, citò in Giudizio Ecclesiastico l’Arciprete di Banano Pietro Civedino, il Vice-curato Carlo Biliardo e prè Clemente Mazzoleni, rei a suo dire, di aver fatto eseguire una icona con l’effige della Beata Maria Vergine Annunciata e di averla fatta collocare «super Altare Maius», sopra l’altare maggiore.
Secondo l’attore giudiziale l’unica chiesa in territorio parrocchiale dedicata all’Annunciata era quella che esisteva nel Convento del Carmine, e pertanto l’icona doveva essere rimossa e riposta in altro luogo.
La causa fu assai lunga e dibattuta e coinvolse tutta la popolazione con testimonianze, prove e controprove.
Il decreto del 3 Agosto 1693, confermò alla nostra chiesetta il titolo originario e quindi ricusò come infondate le accuse del Priore.
L’appello dei frati Carmelitani fu nuovamente ricusato in data 24 Marzo 1694.
Nello stesso anno, il 27 Maggio, la parrocchia ottenne la conferma anche da Roma, per decreto di Papa Innocenzo XII, cui, ancora una volta inutilmente si opposero i Frati.
Nell’anno 1698 la nostra chiesetta campestre ebbe un lascito testamentario che le consentì la sopravvivenza per alcuni secoli, passando di fatto sotto lo juspatronato della famiglia Grataroli.
Con testamento del 21 Dicembre 1698 infatti Giovanni, figlio di Gio. Batta Grataroli, che da anni si era trasferito a Roma, lasciò un terzo dei suoi averi per la erezione di «una ca- pellania laicale e non beneficiale nella chiesa seu oratorio campestre posto nel Territorio di Banano Diocesi e Distretto di Bergamo dedicato alla S.ma Annunciata con quel peso di Messe che vorrà e preciserà il S.r Alberto suo fratello».
Il benefattore morì in Roma il 17 Gennaio 1699, così come morirono non molti anni dopo, senza figli, anche i suoi due figli Gio. Battista e Francesca; automaticamente, quindi, tutti i beni del testatore passarono nelle mani di Alberto Grataroli, per la erezione della suddetta capellania, il che avvenne ufficialmente con atto notarile in data 6 Maggio 1727, dopo che erano state alienate le proprietà di Roma ed acquistate proprietà in Bariano e Fornovo.
Le nuove proprietà erano state intestate alla famiglia Grataroli, in quanto la capellania da erigere non doveva essere beneficiale, e quindi poteva essere goduta anche da un laico o una donna o bambino, che aveva l’obbligo di assolvere gli impegni assunti anche senza utilizzare tutti i redditi che i beni producevano.
La capellania ebbe inizio, in modo non ufficiale, con la messa del 2 Luglio 1712.
Il 7 Ottobre 1714 Alberto nominò beneficiario il suo giovanissimo figlio Gio. Batta, colui che, anni più tardi, divenne Abate.
In questo periodo le messe della capellania erano una per ogni settimana. Dopo la vendita dei beni di Roma, i beni di reinvestimento in Bariano e Fornovo risultarono pari a 243 pertiche e 24 tavole, oltre ad una casa con brolo, per un valore totale di «6.100 scudi da 7 per scudo» per i quali poteva essere calcolata una rendita annua di L. 976.
La capellania pertanto si assunse l’onere della celebrazione di due messe settimanali, ed il mantenimento della chiesa, cioè manutenzione dell’arredamento sacro, calici, stole, tovaglie e pagamento del sagrestano.
L’onere fu rispettato dalla famiglia Grataroli, che incaricò anno per anno un sacerdote per le messe a lire due per ogni messa; spesso furono incaricati i frati del convento dei Carmelitani.
Ciò fino all’anno 1803; nel 1834 la Fabbriceria Parrocchiale iniziò causa contro il Luogo Pio Grataroli, affinché non solo rispettasse gli impegni presenti e futuri, ma anche quelli passati.
Il Luogo Pio avrebbe cioè dovuto far celebrare tutte le messe arretrate, calcolate in oltre tremila; ciò poteva significare il collasso e la fine della giovanissima istituzione benefica.
Il Vescovo Carlo Gritti Morlacchi, pertanto, accettò la richiesta di dispensa dall’obbligo inoltrata dagli amministratori.